La pittura di Francesca Mita, artista bolognese, non è altro che la continuazione di quella “Rivoluzione del gusto” iniziata prima da Fautrier e poi continuata dai grandi protagonisti del dopoguerra: Burri, Vedova, Fontana, Tàpies,Wols, Dubuffet, Hartung, Pollock, Afro, Manzoni ed altri.

Nel 1952 il critico francese Michel Tapiè definiva tale pittura “Un art autre” un’arte di ribellione, che sorge alla fine di un terribile conflitto e si delinea quale reazione al razionalismo, ponendo all’attenzione nuovi valori sotto l’influenza delle due teorie filosofiche: la fenomenologia e l’esistenzialismo. Anche la pittura di Francesca Mita risente dell’influenza di tali correnti, ancora molto attuali ed afferma l’esistenza di un più diretto rapporto con la realtà, al di fuori di ogni aprioristico condizionamento formale ed esalta l’importanza del segno-gesto (trame, combustioni, concrezioni, stratificazioni, piegature assiconiche di manzoniana memoria) e la materia pittorica (intonaco di gesso, ruggine, ossidi, filo spinato e tempere).

La materia-colore assurge così a presenza espressiva ed autonoma, ora raffinata e lirica come in Fautrier, ora densa e corposa come in Tàpies, ora con stilemi espressionisti come in Burri. Una pittura materico-gestuale, probabilmente ispirata anche dai luoghi naturali della Valle del Santerno, che traccia e delimita “spazi costretti”, ferisce l’impasto colorato, provoca impronte, “isole, “spazi aperti”, “trame” ed “elementi” vari che segnano la presenza-assenza del tempo ed il suo procedere lento ed inesorabile in questo pianeta, dove tutto è precario. Materia di una carica espressiva ed emotiva intensa, resa così dai forti cromatismi degli ossidi, dai rossi e azzurri, dall’oro dai rilievi e trame bianche del gesso e della ruggine ossidante, che evidenzia realtà incerte e precarie del nostro vissuto e della nostra attuale esistenzialità.

Nella pittura di Francesca assume grande importanza anche il fondo a volte opaco, a volte luminoso, in cui si accentua il valore timbrico dei suoi segni e “campi” colorati che danno un nuovo valore esistenziale e fenomenologico allo spazio. Le sue astrazioni liriche “neo-informali”, hanno una loro denotazione interiore, commisurata alla fenomenologia dell’essere, che va oltre le conquiste della percezione fenomenica del sensibile. L’artista sembra avvalersi dei materiali e della tecnica della grande pittura a fresco, tanto è importante e visibile il respiro del vivere, che si avverte in quegli spazi colorici, che scandiscono concretamente la misura silente del tempo, che appartiene alla condizione, anch’essa concreta, dell’uomo contemporaneo.